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Sant'Anna educa alla lettura sua figlia Maria
di Trifone Gargano

Sant'Anna che insegna a leggere alla Madonna, sua figlia, è soggetto piuttosto raro, sia in pittura che in scultura. È nel vangelo apocrifo di Giacomo, scritto, con molta probabilità intorno al 150 d.C., e noto come Protovangelo di Giacomo, che si leggono le vite dei genitori della Vergine Maria, Anna e Gioacchino. Tale vangelo, benché apocrifo, cioè non accolto in nessun canone biblico, ebbe una larga diffusione a livello popolare, proprio perché espandeva i racconti (piuttosto striminziti) sull'infanzia di Gesù, contenuti, rispettivamente, nei vangeli di Matteo e di Luca. Il Protovangelo di Giacomo è il testo cristiano più antico nel quale si legge della verginità di Maria (prima, durante e dopo la nascita di Gesù). Inoltre, la tradizione cristiana ha attinto proprio da questo vangelo apocrifo alcune informazioni diventate popolari (come, per esempio, il dettaglio della grotta della natività; la presenza del bue e dell'asinello presso la mangiatoia dove fu adagiato Gesù appena nato; oppure, altre notizie riguardanti la nascita, l'infanzia e l'educazione di Maria di Nazareth). Nel capitolo quinto di questo Protovangelo, infatti, si legge della nascita di Maria, avvenuta quando Anna e Gioacchino avevano già un'età piuttosto avanzata, e della educazione della loro bambina. La raffigurazione di sant'Anna intenta a insegnare alla giovane Maria la lettura è una scena tutta intima, di vita domestica, familiare, che colpisce e commuove. In alcune di queste raffigurazioni, sia di area italiana, che europea, è pure presente, sullo sfondo, il padre di Maria, san Gioacchino, che assiste alla lezione, e che osserva in silenzio.

Mi piace riportare qui una di queste raffigurazioni di sant'Anna che educa alla lettura Maria bambina, da me recentemente visionata presso il Museo civico di Castelbuono (in provincia di Palermo), benché si tratti di opera piuttosto recente, del 1909, dell'artista locale Paolo Cicero, a testimonianza, in epoca contemporanea, di quanto sia duraturo e radicato il culto per sant'Anna (a Castelbuono, infatti, sant'Anna è patrona dell'intera comunità, festeggiata solennemente il 26 luglio, con san Gioacchino; da secoli, sin dal 1454, presso la Cappella Palatina, all'interno del castello, una volta appartenuto alla nobile e potente famiglia dei Ventimiglia, si conserva la reliquia santa del teschio di sant'Anna):

Alcuni studiosi si son chiesti che libri leggesse la Madonna. E, soprattutto, come mai leggesse. Come mai, cioè, sua madre, Anna, avesse pensato di insegnarle a leggere (e a scrivere), visto che nella tradizione giudaica le donne non potevano accostarsi al libro sacro (alla Torah). Nelle sinagoghe era vietato alle donne finanche di entrarvi. Nel Protovangelo, si dà notizia della filatura come occupazione di Maria di Nazareth, non della lettura (o della scrittura), svolta tra i 12 e i 16 anni, cioè, fino al matrimonio con (l'anziano) Giuseppe, vedovo, vecchio, già padre di altri figli e recalcitrante ad accettare di prendere in moglie quella ragazzina. Furono, dunque, i pittori italiani (ed europei), specie quelli di età umanistico-rinascimentale, a introdurre questa forzatura iconografica.

In Italia, furono i domenicani e i francescani, entrambi ordini predicatori, che fecero ri-scoprire, nella devozione popolare, il tema dell'infanzia di Maria, e, di conseguenza, anche il ruolo (importante) di sant'Anna che educa la ragazza, compresa l'educazione alla lettura (e alla scrittura). La fonte di tutta questa tradizione è da ricercare nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, domenicano e arcivescovo di Genova (dal 1292 al 1298, anno della sua morte), proclamato beato dalla Chiesa cattolica. La sua legenda aurea, scritta in latino, ma diffusa in versioni volgarizzate, è una raccolta di vite di santi, che ebbe molta influenza, nei secoli successivi, sia sulla letteratura religiosa e devozionale, sia sulla produzione iconografica di molti artisti, che l'assunsero come fonte.

Nella Madonna del magnificat di Botticelli, del 1481 (attualmente, presso la Galleria degli Uffizi, a Firenze), la Vergine Maria, con Gesù bambino seduto sulle sue ginocchia, non solo sa leggere, ma sa pure scrivere (vene, infatti, raffigurata intenta a scrivere la frase «Magnificat anima mea Dominum», «l'anima mia magnifica Dio», che è una frase tratta dal Vangelo di Luca, e che Maria stessa pronuncia a santa Elisabetta, sua cugina e madre di Giovanni Battista).

L'Annunciata di Antonello da Messina, che è del 1475, riproduce Maria di Nazareth nel momento in cui, intenta a leggere un libro, riceve, tramite un angelo (che però non è in scena, non si vede), l'annunciazione del concepimento e della nascita di Gesù.

Nella Divina Commedia, Dante colloca sant'Anna nella candida rosa, di fronte a san Pietro, in contemplazione compiaciuta di sua figlia Maria, così come si legge ai versi 133-135 del canto XXXII del Paradiso:

Di contr' a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;

[Di fronte a san Pietro, vedi sedere Anna (madre di Maria), tanto compiaciuta nell'ammirare sua figlia, che non distoglie lo sguardo da lei per cantare l'Osanna;]

Infine, in termini pop, suggerirei la canzone L'infanzia di Maria, di Fabrizio De André, contenuta nell'album La buona novella (del 1970), come approfondimento dell'argomento. Chi volesse ascoltarla potrebbe fare click sul QR Code seguente:


Calura infernale e sabbione infuocato
di Trifone Gargano

In questi giorni di caldo infernale, con temperature al di sopra della media stagionale (ma molto, molto, al di sopra), sta circolando nel web una bella vignetta, che ritrae Dante, in rigorosa mise rossa, con tanto di ventaglio (rosso) e con sandaletti (rossi), che, disperatamente, si chiede dove si trovi la selva oscura, che a volerla non c'è mai, non si sa mai, cioè, quale direzione prendere per ritrovarla e ricavarne un qualche refrigerio (immaginando, ovviamente, che tale selva oscura sia pure una selva fresca fresca, dove trovare riparo, rispetto alla calura, visto che in essa, come il poeta ha precisato in un suo verso, il sole «tace»). Quella selva dalla quale, all'inizio del viaggio, Dante era scappato via (non senza qualche difficoltà e non senza qualche indecisione).

Il caldo di questi giorni, comunque, non può non ricordare, nella mente del lettore dantesco, il sabbione infuocato dell'Inferno, precisamente, quello del terzo girone del settimo cerchio, dove scontano la loro pena i violenti contro Dio, nella persona e nelle cose. Il racconto di questo girone occupa ben quattro canti dell'Inferno, dal XIV al XVII. Sabbione infuocato, su cui cadono lingue di fuoco che colpiscono i dannati. Il terzo girone di questo settimo cerchio, infatti, è suddiviso, a sua volta, in tre rispettive zone: nella prima, sono collocati i bestemmiatori (si tratta di violenti contro Dio nella persona di Dio); nella seconda, i sodomiti (violenti contro Dio nella natura); nella terza zona, gli usurai (violenti contro Dio nell'arte e nella professione).

Costoro, tutti, in base alla colpa di cui, in vita, si sono macchiati, adesso, sono esposti alla pioggia di fuoco sistemati in diverse posizioni. I bestemmiatori sono per terra, in posizione supina (per contrappasso: come in vita guardarono con superbia e con disprezzo Dio, ora sono obbligati a tenere la faccia verso il fuoco). I sodomiti sono costretti a camminare senza mai fermarsi (così come in vita furono lacerati da una irrefrenabile irrequietezza). Gli usurai, infine, che in vita accumularono le ricchezze altrui, qui, siedono rannicchiati lungo i bordi del girone.

Tra questi dannati, spiccano, per grandezza, Capaneo (ai vv. 43-75 del c. XIV), uno dei sette re di Tebe, che osò sfidare Giove, e che se ne sta in disparte, noncurante della pioggia di fuoco («giace dispettoso»). Virgilio, rimproverandolo, gli ricorderà che anche lì all'Inferno egli si contraddistingue per la superbia. Ma soprattutto è da ricordare, nel canto XV (ai vv. 31-96) Brunetto Latini, maestro di Dante a Firenze. Questi, non potendosi fermare, percorrerà un tratto di girone in compagnia di Dante, che si rivolgerà all'antico maestro con il capo chino (in segno di affettuoso rispetto). L'incontro con Brunetto Latini è molto cordiale, e si svolge all'insegna di un forte sentimento di reciproca amicizia. Dante spiegherà a Brunetto le ragioni del suo viaggio, e questi confesserà al poeta che lui aveva sempre creduto nel suo valore, e che se fosse stato ancora in vita, lo avrebbe difeso dall'invidia e dalla superbia dei fiorentini («ingrato popolo» e «gente avara, invidiosa e superba»). Dante rivelerà a Brunetto di conservare un ottimo ricordo di lui e, soprattutto, dei suoi insegnamenti, con una delle affermazioni più efficaci (da tweet contemporaneo) e sentenziose di tutto il poema: «m'insegnavate come l'uom s'etterna». Subito dopo, Brunetto Latini scappa via velocemente, per raggiungere la sua schiera, ricordando a Dante, per il gesto della corsa, coloro che a Verona corrono per il palio del drappo verde, ma non come un corridore qualsiasi, bensì come coloro che vincono:

Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde.





La Ludica Commedia di Silvio Berlusconi
a cura di Trifone Gargano

Più volte, nel corso della sua lunga carriera politica, Silvio Berlusconi ha fatto riferimento a sé stesso come all'«uomo della Provvidenza», per la nostra Italia, alludendo, in questa auto-definizione, alla profezia dantesca del «veltro», contenuta nel canto primo dell'Inferno:

[...] infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia (vv. 101-02)

con riferimento immediato alla «lupa» da sconfiggere, la terza bestia che Dante incontra sul suo cammino, e che gli sbarra la via, fino a farlo retrocedere nuovamente nella «selva oscura». Nelle parole di Virgilio, dunque, profetiche e oscure, il veltro rappresenta, appunto, l'intervento provvidenziale e salvifico di un qualcuno capace di liberare il mondo intero dalla cupidigia e dall'avidità, terribili mali che affliggono (da sempre) l'umanità. Nel corso dei secoli, più volte si è provato a identificare questo «veltro» con un personaggio storico ben preciso (laico e/o religioso che fosse), senza mai riuscirci del tutto, in modo cioè convincente. Come pure, a livello popolare e propagandistico, molti sono stati i leader politici che si sono auto-definiti, per la nostra (martoriata) nazione, uomini «della Provvidenza», nati per salvare l'Italia dai suoi mali. Tra questi, con il suo consueto tono ironico e canzonatorio (molte volte anche auto-canzonatorio e auto-ironico), lo stesso Silvio Berlusconi.

In questo mio intervento, scritto e pubblicato in forma di sincero omaggio all'uomo Silvio Berlusconi, nell'ora della sua morte, desidero ravvivare nella memoria dei più, una barzelletta dal tono dantesco, in quanto cioè viaggio (e permanenza) nei tre regni dell'aldilà, Inferno, Purgatorio e Paradiso, che lo stesso Berlusconi raccontò, qualche anno fa, all'interno di una cornice politica (per un convegno, cioè, di Forza Italia), riferita a sé stesso. Berlusconi, infatti, in questa barzelletta racconta di sé stesso che, una volta morto, va all'Inferno, e si accorge, ben presto, che lì non funziona nulla (non ci sono nemmeno martelli per mettere i chiodi, o altri utensili, e così via), e si dispera della cosa. Morale: nel giro di soli quindici giorni, Berlusconi si tira su le maniche, si mette al lavoro e sistema tutto. Visto il gran successo, Berlusconi viene convocato, quindi, in Purgatorio, dove si riscontrano problemi irrisolti di sovraffollamento di anime, con un incredibile esubero di persone che devono scontare le pene assegnate loro dalla giustizia divina. Anche in Purgatorio – continua il racconto della barzelletta – Berlusconi ha un'idea geniale, per risolvere il problema dell'esubero, e suggerisce di far installare dei termostati ai forni, facendo firmare un contratto alle singole anime purganti affinché accettino l'aumento della temperatura con la contestuale riduzione del periodo di permanenza (per esempio, cinquant'anni al posto di cento, con l'aumento di 20 gradi per la temperatura). Manco a dirlo, anche in questo caso, in soli quindici giorni, Berlusconi risolve il problema del sovraffollamento delle cornici purgatoriali. Grandissimo successo. A questo punto, Silvio Berlusconi viene convocato in Paradiso, per dirimere le rivalità tra santi, beati, angeli e tutte le altre creature angeliche. Anche in Paradiso, Berlusconi, facendo ricorso alla sua incommensurabile esperienza sindacale e di partito, in soli tre giorni risolve la problematica. Visti i brillanti risultati, l'anima di Berlusconi viene convocata dal Padre Eterno, che, normalmente, tiene le sue udienze concedendo alla singola anima non più di un minuto (oltretutto – precisa Berlusconi narratore – il Padre Eterno sa già, conosce già tutto quello che i suoi interlocutori hanno in testa e devono dirgli...). Nel caso dell'udienza concessa a Berlusconi, invece, il tempo trascorso non è quello di un solo minuto canonico, ma occupa ben tre lunghissime ore, suscitando la curiosità di tutte le altre anime del Paradiso, e delle stesse intelligenze angeliche, che si accalcano alla porta dell'ufficio divino, per attendere l'uscita di Berlusconi dall'udienza. Il Padre Eterno, dunque, esce dal suo ufficio, con Silvio che gli appoggia un braccio sulla spalla, e tutti lo sentono pronunciare queste parole:

«Silvio carissimo, questa tua idea è davvero splendida [...] di trasformare il Paradiso in una società per azioni e di quotarla in borsa; c'è una sola cosa che non capisco... perché io dovrei fare il vice-presidente?».


Chi volesse ascoltare la barzelletta di Berlusconi in Paradiso, raccontata da lui stesso, potrebbe inquadrare e fare click sul seguente QR Code: